Biennale Cinema 2023 | 8° e 9° giorno

Io comandante di Matteo Garrone

È quindi possibile un film italiano ben scritto e girato, dal taglio epico, cioè narrativo e libero dalla marmellata di sentimenti che ha afflitto le produzioni nostrane in questa edizione della Mostra. Dicevamo del taglio epico. Garrone traccia prima un’Anabasi e poi un’Odissea di due adolescenti senegalesi che, come tutti i loro coetanei, hanno bisogno di giocare in proprio il loro destino, di traversare confini, sfidare regole, vedere il mondo. ‘Epica’ non significa trascurare la dimensione del mito, dei sentimenti, dei sogni e dei desideri. Significa rispetto per la narrazione, cioè il tramite della condivisione delle esperienze che ci accompagna da sempre e che l’ideologia individualistica dell’Occidente cerca di diluire e soffocare dal Romanticismo in poi. I protagonisti affrontano le prove iniziatiche tipiche della narrativa epica: incontrano il marabutto, lo sciamano della tradizione senegalese che fornisce i richiesti vaticini, vedono il volto della morte nella traversata del Sahara, resistono alle diverse incarnazioni del Male, sfuggono ai ricordi della casa natale e al desiderio di arrendersi, fino a giungere in mezzo al Mediterraneo alla scoperta della responsabilità individuale e della condizione di adulto. Pellicola di grande rilievo, tecnicamente perfetta, libera dalla peste televisiva delle altre produzioni italiane.

Origin, di Ava DuVernay

Interessante esperimento: trarre un film da un saggio di antropologia. L’espediente è narrare il making of del saggio attraversando gli eventi tragici, i lutti, i viaggi di documentazione che la scrittrice, già primo premio Pulitzer afroamericana, affronta. Il saggio punta a decostruire l’idea che il razzismo sia il fondamento delle pratiche di esclusione e sottomissione di un gruppo sociale su altri. Analizzando i modelli culturali che hanno guidato il sistema delle caste in India e la teoria del diritto del Terzo Reich – modellata in parte sulle norme di segregazione degli Stati del Sud negli Usa – l’autrice osserva che caste e leggi razziali furono create contro persone somaticamente indistinguibili da dominatori e aguzzini. Il razzismo è solo un caso particolare dell’ideale normativo che reggerebbe la sottomissione di una popolazione che è la casta. Gli elementi fondanti il processo di emarginazione e sottomissione sono l’obbligo di endogamia, cioè la possibilità di sposarsi solo con appartenenti al proprio gruppo/casta e l’attribuzione ex lege a ragioni storiche, biologiche, morali la superiorità di una casta sull’altra. Ovvero l’individuo è segregato nella propria casta in base a caratteristiche che non può modificare, fra queste il colore della pelle. Il Mostro ha trovato godibile una pellicola che sa sfruttare con intelligenza lo stile narrativo di Hollywood alternato a parti didattiche che rimandano a Brecht e, per il cinema, a Rossellini. Parte del pubblico, invero, ha trovato il film poco spettacolare ed è uscito sbuffando.

Holly di Fien Troch

Più volte il sorgere delle potenze istintuali nell’adolescenza è stato nel cinema rappresentato come rivelazione di una dimensione soprannaturale o mistica. Al Mostro vengono in mente Christine, la macchina infernale di Carpenter e Carrie – lo sguardo di Satana di De Palma. Di tutt’altro tono questa pellicola olandese che descrive con delicatezza lo smarrimento di una ragazza che scopre assieme la facoltà di fare segreti miracoli e il bisogno di essere carina, un po’ vanesia e dotata di un minimo di argent de poche. Il film è anche lo strumento con il quale il regista mostra aspetti di solito trascurati della realtà sociale olandese: famiglie a basso reddito, centri di assistenza per immigrati e marginali, scuole di periferia che possono andare anche a fuoco. Bassa spettacolarità in un’opera che ha scelto una linea narrativa molto rischiosa, fra il soprannaturale e il realismo. Scarso entusiasmo del pubblico.

Lubo di Giorgio Diritti

La sottomissione e l’esclusione, lo stigma e il pregiudizio di inferiorità accompagnano da millenni le popolazioni nomadi dell’Europa. La migrazione cominciò oltre mille anni dall’India quando, con l’introduzione del sistema delle caste, una numerosa popolazione rifiutò di essere collocata al gradino più basso, assieme agli intoccabili. Assunsero lingue e religioni diverse (cattolica, ortodossa, mussulmana), diverse denominazioni (rom, sinti, gitani, camminanti) e ancora oggi scontano un destino di marginalità. La cinematografia deve molto ad alcuni personaggi di origine nomade: Charlie Chaplin, Cary Grant, Rita Hayworth, Elvis Presley e alcuni altri. Gli stati hanno avuto molti problemi a collocarli nei loro ordinamenti, persino il nazismo, dopo averli internati, fu in imbarazzo nell’applicare loro la soluzione finale. Per la loro origine, erano gli unici a potersi fregiare del titolo di veri ariani. Lo sterminio, comunque, arrivò. In Svizzera i nomadi si chiamano Jenish e la democratica confederazione applicò loro quella teoria eugenetica che nella prima metà del XX secolo affascinò in tutto il mondo politici, scienziati e legislatori. Senza giungere agli estremi del nazismo, tentativi per impedire che gruppi sociali, etnie o individui marginali si riproducessero furono messi in atto contro gli aborigeni australiani, le popolazioni indigene del Canada, le ragazze madri irlandesi, i pazienti psichiatrici svedesi. Agli Jenish fu applicata fin dall’inizio del secolo una politica sistematica di sottrazione dei figli alle famiglie per avviarli all’adozione o all’internamento in brefotrofi e, poi, in manicomi. Il film di Diritti affronta l’argomento con uno “stile” che pretende raffinatezza ma è solo lento e privo di ritmo narrativo. La trama oscilla fra Il conte di Montecristo e i romanzi della Highsmith che hanno come protagonista Tom Ripley. Abbondano le lacrime. Sarebbe un’ottima fiction in tre puntate sui canali RAI.

Vermines (Infestazione ) di Sebastien Vaničeck

Una storia horror che rispetta tutte le forme canoniche del genere ma è girata in maniera fresca ed originale, tale da consentire di spostare lo sguardo dalle disavventure dei protagonisti all’ ambientazione: un condominio dall’architettura delirante abitato da una miscela variegata di nazionalità, etnie e tipi umani, attraversato da profondi legami di amicizia e anche da odii feroci. Le forze dell’ordine si dimostrano idiote come in La notte dei morti viventi. Ed è al film di Romero che va il pensiero, alla sua capacità di essere al tempo stesso di genere e innovativo, in grado di gettare sulla realtà sociale delle banlieue uno sguardo più efficace di altri film francesi programmaticamente impegnati. Nel finale, l’orrenda architettura viene fatta saltare in aria, come è stato fatto con le famigerate Vele di Secondigliano a Napoli.

Il Mostro Marino alias S.M.

Contrassegnato da tag ,

Lascia un commento